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   Dermatite Allergica da Contatto

Studio svolto da ricercatori dell' Istituto di Clinica Dermatologica dell’Università di Firenze
 

Dott. Stefano Francalanci (1) - Dott.ssa Simonetta Giorgini (2) - Dott. Claudio Brusi (3) - Prof. Achille Sertoli (4)

1) Clinica Dermatologica II (Direttore: Prof. P. Fabbri), Istituto di Clinica Dermatologica dell’Università di Firenze,
2) Clinica Dermatologica I (Direttore: Prof. B. Giannotti), Istituto di Clinica Dermatologica dell’Università di Firenze,
3) U.O. Autonoma Universitaria di Dermatologia Allergologica Professionale e Ambientale (Direttore: Prof. A. Sertoli), Istituto di Clinica Dermatologica dell’Università di Firenze,
4) U.O. Autonoma Universitaria di Dermatologia Allergologica Professionale e Ambientale (Direttore: Prof. A. Sertoli), Istituto di Clinica Dermatologica dell’Università di Firenze

 

  La DAC (Dermatite Allergica da Contatto) da indumenti non è dovuta alle fibre tessili come tali (naturali, artificiali o sintetiche) ma ai numerosi prodotti utilizzati per il loro trattamento e rifinizione, in relazione alla complessità e diversità del ciclo lavorativo di maglie calze, vestiti, biancheria intima, ecc. Fra le sostanze maggiormente usate ricordiamo i mordenti, le resine apprettanti, le componenti elasticizzate in gomma e i coloranti

 

In ambito extraprofessionale sono quattro i grandi gruppi di prodotti che risultano i più frequentemente responsabili di Dermatite Allergica da Contatto: calzature, indumenti, cosmetici, accessori metallici dell’abbigliamento (in particolare bigiotteria e orecchini). A questi, assieme considerati, possono essere ascritti circa l’85% dei casi di DAC, come suggerito anche dai risultati dell’inchiesta epidemiologica condotta dal GIRDCA (Gruppo Italiano Ricerca Dermatiti da Contatto e Ambientali) su oltre 42000 casi negli anni 1984-1993. Come affrontare la prevenzione della DAC in questo ambito? Ci occupiamo di questi argomenti fin dagli inizi degli anni ‘90 e la nostra attenzione è rivolta soprattutto allo studio di prodotti “alternativi” per la prevenzione della DAC da calzature e indumenti. Dei primi abbiamo già parlato (Un’alternativa alle scarpe La Pelle n. 1/2000), mentre affrontiamo ora il tema delle allergie ai più comuni indumenti che si indossano ogni giorno. La DAC da indumenti presenta un notevole polimorfismo clinico: nel soggetto che ne è affetto possono essere osservabili non solo classici quadri di tipo eczematoso ma anche lesioni che nel loro insieme simulano la dermatite seborroica, la dermatite atopica, talora la psoriasi. Le sedi interessate sono soprattutto le pieghe cutanee (là dove è più stretto il contatto con l’indumento e si aggiunge l’azione favorente del sudore e della frizione) e in particolare il cavo ascellare (con il caratteristico risparmio del fondo dello stesso), la fossa antecubitale, il cavo popliteo. Spesso è interessato il tronco e talora il volto, in particolare la regione palpebrale (diffusione aereotrasmessa degli apteni? contatto al momento di togliere le maglie?)La DAC da indumenti è in crescita soprattutto in paesi come l’Italia e il Portogallo ma segnalazioni provengono anche da altri paesi europei e dagli Stati Uniti. In Italia in particolare essa rappresenta circa il 10% delle DAC extraprofessionali e mostra un significativo trend di crescita. I principali apteni responsabili della DAC da indumenti risultano in assoluto i coloranti sintetici della categoria dei coloranti cosiddetti dispersi (il nome deriva dalla modalità di tintura della fibra, per dispersione) e in particolare quelli di tipo azoico e antrachinonico. Questi, dopo la scoperta a opera di Perkin nel 1856 del primo colorante sintetico, hanno avuto una applicazione sempre crescente consentendo all’industria tessile di fornire fibre e quindi tessuti dotati di una gamma di tonalità di colori estremamente vasta, di ottime qualità tintoriali (per inalterabilità ai lavaggi), di basso prezzo e disponibilità praticamente illimitata.

 

Questi però rappresentano la più frequente causa di DAC da indumenti in Italia: il disperso blu 124 (il più importante aptene di questo gruppo assieme ai dispersi giallo 3 e rosso 1) faceva riscontrare nel quinquennio 1989-1993 una percentuale di reazioni positive pari al 3,7%. Queste ultime risultano pressoché sempre rilevanti dal punto di vista clinico, dato confermato dalla sostanziale equivalenza delle percentuali di sensibilizzazione ai coloranti dispersi presenti nella serie standard con la percentuale di DAC da indumenti. I coloranti dispersi per i quali è stata dimostrata l’attività sensibilizzante sono numerosissimi e talora dotati di reattività crociata tra di loro e con sostanze intermedie impiegate nella loro produzione come quelle del gruppo “para” (p-fenilendiamina ecc.), del quale fanno parte anche farmaci (antidiabetici, antiipertensivi) e cosmetici. Altri più rari apteni responsabili di DAC da indumenti sono le resine apprettanti derivate della formalina (ureaformaldeidica, melaminoformaldeidica ecc.), le componenti elasticizzate (per gli additivi della gomma quali antiossidanti e accelerati del processo di vulcanizzazione derivati della p-fenilendiamina, del gruppo tiuramico, del mercaptobenzotiazolo, dei carbamati, delle tiouree ecc.), e assai più raramente il cromo impiegato come mordente o in coloranti metallo-complessi. Le nostre ricerche in questo settore si sono quindi indirizzate allo studio di coloranti alternativi: sono stati presi in esame in particolare 9 coloranti di origine naturale.   

 

In soggetti sensibilizzati a coloranti dispersi (uno o più) e affetti da DAC da indumenti (in numero variabile da 17 a 37 pazienti) sono stati eseguiti patch test con i coloranti naturali, con due principi attivi degli stessi (acido carminico per cocciniglia e miscela indigotina/indirubina per indaco, preventivamente isolati dal colorante grezzo e caratterizzati rispettivamente mediante spettrofotometria e spettrometria di massa) e con frammenti di tessuti in fibre naturali tinti con alcuni di questi coloranti. I patch test hanno dato esito negativo in tutti i soggetti, fornendo la prima conferma dal punto di vista clinico della non reattività crociata fra i coloranti naturali e quelli sintetici. Successivamente l’henné biondo ed il rosso cocciniglia sono stati sottoposti a cromatografia su strato sottile per confronto con due coloranti dispersi (rosso 60 e arancio 66) utilizzando diversi solventi ed eluenti. Questa ha confermato che i coloranti naturali in esame hanno caratteristiche chimiche (e verosimilmente immunochimiche) diverse rispetto a quelli sintetici di confronto (ma verosimilmente anche ad altri), ulteriormente confermando l’assenza di reattività crociata dal punto di vista allergologico. In cinque dei 37 soggetti è stato infine condotto un test d’uso, consistente nel fare indossare ai pazienti maglie di seta o lana colorate con alcuni dei coloranti naturali (cocciniglia, henné biondo, indaco) per almeno 20 giorni per circa 3 ore al giorno. Al termine del test non si sono riscontrate reazioni (le maglie venivano indossate il più possibile a contatto diretto con la cute) e i pazienti hanno formulato un giudizio positivo sulle qualità estetiche dei capi e (parzialmente) sulla resistenza del colore al lavaggio. Gli svantaggi della tintura con coloranti naturali sono rappresentati dal costo (al momento) superiore del filato e quindi dell’indumento, una più difficile riproducibilità del colore finale (ogni bagno da una tonalità “unica”), una minore inalterabilità alla luce, allo sfregamento e al lavaggio. I vantaggi attendibili sono la riduzione dell’inquinamento ambientale, una diminuzione dei rischi negli addetti alla produzione, la possibilità di impiego dei capi da parte di soggetti sensibilizzati ai coloranti sintetici, la guarigione senza recidive della DAC. 

 


ALTERNATIVE AGLI APTENI

Come è noto la dermatite allergica da contatto (DAC) è causata da apteni a basso peso molecolare. Una volta indotta la sensibilizzazione, essi sono in grado di innescare una serie di reazioni immuno-mediate che si manifestano a livello clinico nelle aree di contatto con lesioni di tipo classicamente eczematoso acuto (eritema, edema, vescicole). Sulla pelle del soggetto sensibilizzato, ogniqualvolta si verifica un incontro con l’aptene, si possono presentare recidive della dermatite che talora, per la frequenza e il perdurare dei contatti con le sostanze responsabili dell’allergia, portano all’instaurarsi di un quadro eczematoso cronico (papule, desquamazione, ragadi). La prevenzione consiste nell’allontanamento del paziente dal contatto con materiali e prodotti contenenti le sostante allergizzanti. Per giungere a questo traguardo per la DAC extra-professionale, ovvero determinata da apteni.non presenti nell’ambito lavorativo, è necessaria l’identificazione tramite il patch test e gli altri test a esso complementari (test d’uso, ROAT ecc.) degli apteni responsabili della dermatite. I risultati di questi ultimi vanno poi interpretati sulla base delle conoscenze tecno-merceologiche del dermato-allergologo e permettono, unitamente ai dati clinici e anamnestici di confermare la responsabilità dei materiali e prodotti sospettati. Si deve inoltre procedere alla sospensione dei contatti responsabili. In alcuni (rari) casi è possibile consigliare al soggetto sensibilizzato di abbandonare tout court l’uso del prodotto responsabile della dermatite, spesso, però, questi oggetti sono utilizzati dal paziente nella vita di tutti i giorni e sono estremamente necessari. Di qui il bisogno della ricerca (guidata dagli accertamenti precedentemente condotti) di “alternative”, in cui l’aptene responsabile è stato sostituito da sostanze con differente comportamento allergologico. Queste ultime non devono essere cross-reagenti con gli apteni responsabili della DAC e possibilmente essere dotate di minore attività sensibilizzante, ma devono essere in grado di assicurare al manufatto buone caratteristiche tecniche, merceologiche, funzionali e estetiche.
Abbiamo successivamente cercato di allargare la nostra esperienza in tema di indumenti alternativi per la prevenzione della DAC in questo settore e abbiamo raccolto utili informazioni su produttori di manufatti “ecologici”. Queste sono state agevolate dalla tendenza che si manifesta da pochi anni con l’attenzione all’ecologia nell’abbigliamento, sentita soprattutto nei paesi del Nord Europa, ma anche in Italia dove trova riscontro in varie manifestazioni come Ecomoda, patrocinata dalla Lega Ambiente. Nella nostra indagine siamo stati in grado di collezionare informazioni e indirizzi (oltre 50) di aziende e punti vendita di indumenti prodotti con una maggiore attenzione all’impatto ambientale. Questi possono essere rappresentati da indumenti tinti con colori naturali o prodotti con cotone che nasce naturalmente colorato (e che quindi non necessita di ulteriori processi tintori). L’uso di filati in cashmere, pura lana e alpaca permette la produzione di manufatti non colorati, mentre indumenti per il tempo libero (pantaloni, felpe, T-shirt, camicie) sono ottenuti con una nuova fibra di cotone appositamente selezionato negli Stati Uniti, coltivato senza l’uso di sostanze chimiche fertilizzanti e fitosanitari. Il cotone trattato con ocra e olio di lino è alla base della linea di jeans che trae ispirazione (seguendo i canoni di lavorazione dell’epoca) dalle vecchie vele di cotone dei trabaccoli di Chioggia. Sono disponibili sul mercato collezioni di biancheria intima e calze per uomo prodotte con tessuto di cotone non tinto né trattato chimicamente e alle quali non sono aggiunte fibre sintetiche (a parte le componenti elasticizzate a es. degli slip). Sempre in spugna di cotone non colorato e non candeggiato (il risultato è un colore grezzo naturale) sono prodotti asciugamani e accappatoi, mentre puro lino e cotone non colorati sono impiegati per le lenzuola in morbido colore grigio. Un gruppo di 22 pazienti affetti da DAC da indumenti è stato da noi seguito con periodici follow-up, dopo che agli stessi erano state fornite indicazioni (oltre il suggerimento di norme preventive standardizzate come l’uso dei capi nuovi solo dopo ripetuti lavaggi, la scelta di indumenti non troppo aderenti, la eventuale riduzione ponderale ecc.) sulla possibilità di impiego di indumenti alternativi.

 

Dei 22 soggetti 9 non si sono presentati ai successivi controlli, 10 hanno seguito i consigli adottando progressivamente un guardaroba “ecologico” e non hanno presentato nel periodo di osservazione recidive della dermatite. Tre pazienti hanno riferito di preferire il ricorso alla terapia invece dei prodotti alternativi. A conclusione di questa breve panoramica possiamo fare tre pratiche considerazioni: - Il dermatologo (e in particolare il dermato-allergologo) deve essere consapevole e trasmettere convincentemente questo messaggio al paziente: che la DAC extraprofessionale può oggi essere guarita in buona parte dei casi (i due settori esaminati ne sono un esempio) senza terapia con l’uso di prodotti alternativi, selezionati sulla base della corretta esecuzione dell’esame allergologico e delle aggiornate conoscenze tecno-mercelogiche; tra i dermato-allergologi e tra questi e l’industria si rende necessaria una sempre maggior collaborazione al fine di diffondere una continua e aggiornata informazione e ottenere la disponibilità sul mercato di prodotti alternativi sempre più validi per i pazienti affetti da DAC extraprofessionale; l’allestimento di una guida la più completa possibile, continuamente aggiornata, di fornitori e rivenditori di prodotti alternativi inerenti i settori più frequentemente responsabili di DAC potrebbe rappresentare il primo passo nell’attuazione di una razionale prevenzione della stessa.

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